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Arquata del Tronto : Arte, Storia, Cultura, Prodotti Tipici, Dove dormire, Dove mangiare, Cosa fare nella Provincia diAscoli-Piceno.

Comuni

Comune di Arquata del Tronto

Turismo Arquata del Tronto :

CENNI GEOGRAFICI
Arquata del Tronto è un comune italiano di 1.320 abitanti della provincia di Ascoli Piceno nelle Marche. Fa parte della Comunità Montana del Tronto. L'insediamento urbano del paese di Arquata sorge nell'alta valle del Tronto, alla base del versante sinistro del fiume, sotto le cime dei Monti Sibillini. Dista circa 30 km dal capoluogo Ascoli Piceno ed il suo territorio comunale comprende una superficie di circa 92 km² spaziando dai 590 ai 2.478 m s.l.m. Il suo comprensorio si estende fino nell'estremo sud-occidentale della Regione Marche confinando con tre regioni (caratteristiche che in Italia condivide col solo comune confinante di Accumoli): Abruzzo, con la provincia di Teramo, Lazio, con la provincia di Rieti, ed Umbria con la provincia di Perugia. È l'unico comune d'Europa racchiuso all'interno di due aree naturali protette: il Parco Nazionale del Gran Sasso e Monti della Laga a sud ed il Parco Nazionale dei Monti Sibillini a nord. Il paesaggio è caratterizzato da pareti scoscese, dall'avvicendarsi di boschi e pendii, da ampie balconate naturali da cui l'occhio spazia su verdi campi o può scorgere da un lato la vetta del Gran Sasso e dall'altro la maestosa parete del Monte Vettore ed altre cime dei Monti Sibillini. CENNI STORICI
Della sua origine si hanno notizie incerte, studiosi locali la riconducono all'antica Surpicanum messa tra le due "Statio" della Tavola Peutingeriana, Ad Martis, identificabile nell'attuale frazione di Tufo e Ad Aquas il vicino paese di Acquasanta Terme. Surpicanum era uno dei centri del Piceno del quale non è stata individuata con certezza l'ubicazione. Si ipotizza, inoltre, che Arquata fosse un paese dei Sabini, correlando la vicinanza di questo popolo già presente a Norcia e nella stessa Ascoli, fondata dalla migrazione di queste genti col “ver sacrum” , e che solo in seguito divenne dei Romani. Nel I secolo d.C. la località e tutta l'area dell'alta valle del Tronto appartenevano alla famiglia imperiale di Vespasiano, detta famiglia dei Flavi, originaria appunto della Sabina. Un'altra ipotesi sull'origine del borgo fortificato attribuisce la nascita di Arquata all'epoca romana e la colloca come statio sulla Consolare Salaria, strada che all'epoca era la via commerciale del trasporto del sale prodotto nelle saline di Porto d'Ascoli. Le prime documentate notizie sulla terra d'Arquata si trovano nel periodo dell'alto medioevo quando nel VI secolo era definita come Terra Summantina. Ulteriore e successivo riferimento storico è fornito dall'invasione del popolo longobardo che giunse fino a Spelonga, dove forse esisteva un castrum. Ricompare la citazione della terra d'Arquata nella cronaca del viaggio intrapreso da Carlo Magno che, nell'800, attraversò questi luoghi per recarsi a Roma in occasione della sua incoronazione. Nell'anno 1251 la città di Ascoli era stata costretta "a fabricar negli Appennini un Forte per guardia dei confini occidentali affin di cautelarsi dalle scorrerie dei norcini". Amatrice e Castel Trione dettero il loro contributo e Norcia cedette ad Ascoli: Arquata, Accumoli, Tufo, Rocchetta e Capodacqua. Nel 1255 Arquata è soggetta al dominio ascolano e nel 1256 papa Alessandro IV ordinò al Rettore della Marca di stanziare una somma per la città di Ascoli Piceno al fine di potenziare le strutture difensive sparse nel suo territorio, tra cui Arquata. In pieno periodo Comunale, nel 1293, Arquata insieme con altri comuni, quali Montemonaco e Colloto di Manilia, rinnovò i patti di fedeltà o di vassallaggio con la città di Ascoli, garantendo un contingente militare di 50 armati in caso di guerra e la partecipazione al palio delle festività della Quintana ed alle celebrazioni in onore di Sant'Emidio. Questo patto di alleanza fu rinnovato ancora nel 1317 e nel 1337 ed in questo periodo il borgo godette di ampia autonomia. In memoria di questi patti, ancora oggi, una rappresentanza del Castello della Rocca di Arquata partecipa alla sfilata del corteo storico medievale della Quintana. Nel 1397, periodo della Guerra Atriana, Arquata divenne una roccaforte di Norcia e dei ghibellini ascolani. In seguito, la città di Ascoli cinse d'assedio la rocca e la espugnò. La fortificazione raggiunse il suo massimo splendore nella prima metà del XV secolo per volere della regina Giovanna II d'Angiò di Napoli, incoronata da Papa Martino V. La sovrana risedette nella Rocca dal 1420 al 1435. Da questo deriva la popolare definizione "Castello della Regina Giovanna" ed una leggenda vuole che il suo fantasma si aggiri, ancora oggi, per le stanze della fortezza. Successivamente, nell'anno 1429 papa Martino V cedette Arquata e il suo comprensorio a Norcia. Nel 1440 Il castello di Arquata non più soggetto di contese ebbe il suo Primo Statuto. Nel 1466 scoppiò una nuova guerra tra Ascoli e Norcia ed entrambe le città miravano a ristabilire il controllo della fortificazione che domina la Salaria. Gli ascolani al seguito del comandante Ficcadenti assalirono ed espugnarono Arquata. I danni furono notevoli ed il cardinale di San Marco ritenne necessari interventi di restauro. La rocca fu dominata nuovamente dai norcini e nel 1480 Ascoli ne rivendicò nuovamente il possesso. Nel 1564 ebbe luogo un nuovo restauro del fortilizio. Nel 1703 la Rocca subì danni a causa del terremoto e fu ristrutturata durante il periodo del Regno Italico. A seguito dell'invasione francese, 1809, la prefettura di Norcia decadde ed Arquata fu assoggettata a Spoleto, allora capoluogo del Dipartimento del Trasimeno. In quel periodo fu capoluogo di cantone, fu restaurata la Rocca ed armata di piazzuole di artiglieria. Fu dotata di una guarnigione permanente e divenne il terzo fortilizio del Dipartimento con le Rocche di Perugia e Spoleto. Dopo la caduta di Napoleone, il Governo Pontificio della restaurazione, la levò all'Umbria, e la incorporò nella delegazione di Ascoli Piceno partecipando alla giurisdizione pretorile nel 1832. La sosta di Giuseppe Garibaldi nell'anno 1849.
Tra gli eventi accaduti nel paese di Arquata del Tronto vanno ricordati l'arrivo ed il pernottamento di Giuseppe Garibaldi, nell'anno 1849, che qui si fermò quando partì alla volta di Roma. Questa fu la terza ed ultima tappa in territorio ascolano. La cronaca ci perviene dagli scritti di Candido Augusto Vecchi, fermano, capitano del 23° di linea piemontese e storiografo della guerra del 1848, che fu tra i più fedeli e cari amici del generale. Questi, al passaggio dell'eroe dei due mondi nella città di Ascoli Piceno si unì al gruppo, ma lo seguì fino a Rieti per poi proseguire da solo e raggiungere Roma dove svolse il suo mandato di deputato partecipando ai lavori dell'Assemblea Costituente. In questo viaggio Garibaldi era già accompagnato da Nino Bixio, quale ufficiale d'ordinanza, Gaetano Sacchi, Marocchetti, Andrea d'Aguyar, servitore, e Guerrillo il suo piccolo cane, azzoppato da una ferita, che aveva l'abitudine di seguire il suo padrone camminando tra le zampe del suo cavallo. Durante il trasferimento da Ascoli Piceno a San Pellegrino di Norcia fu ospitato nel paese di Arquata dal locale governatore Gaetano Rinaldi, capo della reazione clericale. Il generale dormì presso casa Ambrosi nella notte tra il 26 e il 27 gennaio 1849. Giunse ad Arquata il giorno di venerdì del 26 gennaio 1849 quando, dopo aver lasciato la città di Ascoli Piceno, si avviò verso le zone montane attraversando la parte più alta della valle del Tronto tra gli Appennini. Egli e il suo seguito lasciarono Ascoli intorno alle dieci del mattino raggiungendo la consolare Salaria accompagnati tra le vie cittadine dai carabinieri a cavallo, la guardia civica, la banda comunale, dodici carrozze e una folla festante. Giunti a porta Romana il generale congedò tutti e regalò una spada a Matteo Costantini, anch'egli come Giuseppe Costantini, suo padre, era detto Sciabolone, quale segno della sua amicizia e rifiutò, per l'ennesima volta, la sua scorta sulle strade di montagna. La prima sosta di ristoro avvenne ad Acquasanta Terme, dove Garibaldi, sceso da cavallo, si accomodò su un sedile di travertino per accendere il suo sigaro. Ripreso il cammino la spedizione arrivò ad Arquata dove fu accolta ed ospitata con molto riguardo. Candido Augusto Vecchi racconta di un lungo pranzo che durò fino a mezzanotte. Il mattino seguente, 27 gennaio 1849, prima del sorgere del sole, il generale e i suoi lasciarono il paese per dirigersi verso Rieti. Il governatore d'Arquata regalò loro quattro libbre di tartufi come viatico. Si avviarono così alla volta di San Pellegrino percorrendo la strada che conduce a Pretare e quindi a Forca di Presta. Furono scortati dal figlio del governatore d'Arquata che portò con sé, e in loro onore, fino sulla cima della montagna, un vessillo tricolore di seta. Il generale ricordò così la sosta ad Arquata nelle sue Memorie: «(...) ed io per le via di Ascoli e la valle del Tronto, con tre compagni per percorrere ed osservare la frontiera napoletana. Valicammo gli Appennini, per le scoscese alture della Sibilla, la neve imperversava, mi assalirono i dolori reumatici che scemarono tutto il pittoresco del mio viaggio. Vidi le robuste popolazioni della montagna, e fummo ben accolti, festeggiati dovunque, e scortati da loro con entusiasmo.» Ad Arquata quali segni di questo evento rimangono la Via Garibaldi e una lapide affissa sulla parete esterna di casa Ambrosi, qui spostata dalla primaria collocazione sul muro della torre civica, in cui si ricorda la sosta del generale. L'iscrizione così recita: «QUI - NEL 19 FEBBRAIO 1849 - TRAENDO ALLA VOLTA DI ROMA - FU - GIUSEPPE GARIBALDI - IL SUO NOME E UNA STORIA E UN'EPOCA - A PERPETUA RICORDANZA - MUNICIPIO E POPOLO D'ARQUATA - POSERO - NEL 20 AGOSTO 1882» Corre l'obbligo di precisare che la data 19 febbraio, scolpita sulla pietra, è inesatta poiché Garibaldi arrivò e pernottò tra il 26 e il 27 gennaio. L'iniziativa di apporre una lapide commemorativa a ricordo dello straordinario evento della sosta del generale fu presa da un comitato promotore e sostenuta dal municipio dopo la morte dell'eroe dei due mondi che avvenne il 2 giugno 1882. La cronaca dell'evento dell'inaugurazione della pietra ci giunge dalle corrispondenze di Girolamo Rilli e di Marietta Zocchi Girardi, rispettivamente pubblicate sulla Gazzetta di Ascoli Piceno del 23 e del 24 agosto del 1882. Lo scoprimento della lapide avvenne il 20 agosto 1882, alle dieci e trenta del mattino, seguito dall'esecuzione dell'inno garibaldino e dai discorsi delle autorità e dei membri del comitato promotore. Sulle pagine della Gazzetta si leggono riportate anche la commossa ed entusiasta partecipazione di tutta la cittadinanza intervenuta e la moltitudine di drappi, bandiere e festoni che sventolavano dalle finestre del borgo affacciate sulla piazza. DA VISITARE
Chiesa della Santissima Annunziata La Chiesa della Santissima Annunziata è la chiesa parrocchiale di Arquata del Tronto. Si trova all'interno del paese lungo la via che conduce alla Rocca. Di dimensioni modeste ha una facciata molto semplice con un importante portale scolpito in pietra arenaria. Il suo interno è costituito da un unico ambiente dove si trovano altari lignei, la cantoria, e collocata, sulla parete di fondo, una tela dell'Annunciazione del XVI secolo.
Il Crocifisso ligneo del XIII secolo
Il vero pezzo di pregio di questa chiesa è costituito dal Crocifisso ligneo policromo della seconda metà del XIII secolo, esposto su di un capitello di tufo e considerato la statua sacra più antica delle Marche. L'opera proviene dalla chiesa di San Salvatore di Sotto di Ascoli e portata qui da un gruppo di arquatani che, nell'anno 1680, ebbero una disputa con gli ascolani. [4] Il crocifisso, per le sue dimensioni, è idealmente collocabile al centro di un quadrato di metri 1.45 per 1.45. Ha uno spessore medio di 20 centimetri e si presenta come un'opera policroma con evidenti riferimenti allo stile bizantino. Dopo il suo restauro, avvenuto nel 1973, si apprezza meglio il suo originale rivestimento pittorico dapprima nascosto da altri strati di ridipinture, secondo alcuni, riferibile all'arte spoletina del XII secolo e del XIII secolo. Raffigura, come avveniva nell'arte popolare del tempo, un rigido Cristo crocifisso con braccia distese ed arti inferiori paralleli. Fu realizzato da due frati benedettini, Raniero e Bernardo, che lo firmarono alla base. L'attuale lacunosa iscrizione riporta: «...TER RANIERI DOM... R ...DUS T AIDA... NU TP SU» che è stata letta, da Italo Zicari, con questa interpretazione: «frater Ranieri dominus corpus fecit (o pinxit) frater Berardus aidavit», traducibile come: «Frate Raniero scalpellò (o dipinse) il corpo del Signore, Frate Berardo lo aiutò». Sul capo di Gesù è posta una corona in argento sbalzato, ex voto degli abitanti di Arquata, che reca inciso: «ARQUATA COLERAE MORBO SERVATA SALVATORI SUO D.D. 1855» Il crocifisso è sempre stato particolarmente venerato dagli arquatani e non solo. Ancora oggi è portato per le vie del paese in processione solenne.
Chiesa di San Francesco
Nella frazione Borgo di Arquata si trova la chiesa dedicata a san Francesco, essa fa parte del complesso dell'omonimo convento. Di stile romanico conserva un portale del Cinquecento, la cantoria, il pulpito ed altari lignei del XVI e XVII secolo. Al suo interno si trova custodita anche la cosiddetta "Sindone di Arquata". L'ambiente della chiesa è adorno di un ricco corredo sacro costituito da opere lignee. Si mostra suddiviso in due navate scandite da colonne, a base quadrata, elevate con conci di pietra. Il soffitto, la cui esecuzione è attribuita alla scuola di Norcia, è realizzato interamente in legno lavorato a cassettoni modellati con forma quadrangolare recanti una decorazione circolare centrale a rilievo. Meritevole di interesse è anche la cantoria lignea, collocata all'ingresso, sostenuta da una colonna in pietra arenaria, a base ottagonale liscia, sormontata da un elegante capitello quadrangolare scolpito con motivi fogliari. Vi è anche un pregevole pulpito ligneo poggiato su colonne tortili. Sulla parete di fondo si trova il coro ligneo, del 1400, arricchito, in alto, dalla presenza di un crocifisso. Nella parete di sinistra sono presenti un altare realizzato in stucco dedicato alla Madonna del Rosario circondata dalla rappresentazione di quindici misteri, seguito dalla nicchia scavata in cui si scorge l'affresco, del 1527, di contesa attribuzione fra la scuola di Cola dell'Amatrice e la scuola di Norcia, raffigurante la Madonna con Bambino tra due santi. A questo si trova affiancato un altare ligneo che ospita il reliquiario di legno dorato. La tradizione attribuisce a questa raccolta, come ad altre affini, la provenienza dalla terra della Palestina. Diametralmente opposto, sulla parete di destra, vi è ancora un altare ligneo del 1600 dedicato a san Carlo Borromeo. Al centro, tra le colonne, si trova il dipinto dell'olio su tela che ritrae la figura del santo, adoratore della Sacra Sindone, la cui copia estratta è collocata a fianco. Alle opere ricordate si aggiungono le statue di san Francesco, realizzato in terracotta e legno, del secolo XV e sant'Antonio di Padova, posto all'interno di un'edicola votiva del XVI secolo. Durante i lavori di restauro, del 1980, sono stati scoperti sotto lo strato di intonaco esterno della facciata due bassorilievi, di pietra arenaria, del X secolo. Il primo mezzo tondo è un lavoro piuttosto ricercato, finemente scolpito e particolareggiato che raffigura la Madre di Dio ed il Sacrificio del Cristo per la redenzione dell'umanità. L'umanità è rappresentata da piccole figure antropomorfe in basso. Il secondo bassorilievo reca scolpito un angelo che stringe nelle sue mani una bilancia. Il significato allegorico di questa rappresentazione è il riferimento al Giudizio Universale ed alla pesatura delle anime. Questi due rinvenimenti sono stati posti all'interno della parete della facciata della chiesa, mantenendo le stesse caratteristiche di altezza della primaria sistemazione sulla parete esterna d'ingresso, dove sono stati trovati.
La Sindone di Arquata del Tronto
In pochi sanno che nella chiesa di questa remota località appenninica si trova una copia della Sacra Sindone custodita a Torino. La copia è identica all'originale e reca impressa la scritta in stampatello «EXTRACTVM AB ORIGINALI» «estratta dall'originale», posta tra le impronte del viso, sebbene non sveli come questa copia sia stata ottenuta. La sindone di Arquata fu rinvenuta nel corso di lavori di conservazione e restauro della chiesa dedicata a san Francesco, eseguiti nel XVII secolo. Il telo era piegato e racchiuso all'interno di un'urna dorata nascosta dentro la nicchia di un altare. Esiste una pergamena datata 1º maggio 1655, firmata dai religiosi di quel tempo, che ne costituisce il certificato di autenticazione. Nella stessa vi è scritto che nell'anno 1655 su petizione del vescovo Bucciarelli, segretario del cardinale Borromeo, alla presenza di una commissione appositamente incaricata, in una piazza di Torino, un lenzuolo di lino di egual misura è stato fatto combaciare con il lenzuolo della Sindone e che, a seguito di questo procedimento, sul nuovo telo vi è rimasta impressa l'immagine del tutto simile. Come questo possa essere avvenuto rimane un mistero. Un decalco fatto con tecniche a noi sconosciute? Sembra noto, tuttavia, che nel XVII secolo si ottenessero copie del Sacro Lino sovrapponendo un telo al sudario originale e sottoponendo entrambi alla pressione di rulli metallici riscaldati. Mediante questa operazione avveniva il trasferimento dell'immagine. Di sicuro è un bene molto prezioso per i credenti poiché ricavato per contatto diretto con il sudario che avvolse Cristo nel sepolcro. Sulla necessità per la Chiesa di fornirsi di una copia della Sindone, la teoria più fondata sarebbe quella secondo la quale ci si volesse tutelare da possibili incidenti che potessero accorrere all'originale che, oltretutto, era in possesso non della Chiesa ma dei Savoia. L'aver posto la copia in un luogo così remoto conforta la tesi che questa volesse essere una sorta di "copia di sicurezza". Qui i francescani l'hanno custodita gelosamente per secoli, limitando le ostensioni ed utilizzandola per le processioni solo in casi eccezionali, l'ultima volta in occasione della seconda guerra mondiale. Anche la copia della Sindone d'Arquata, come le altre esistenti, è stata messa di nuovo a contatto con il Sacro Lino originale. L'ultimo accostamento dei due teli è avvenuto nell'anno 1931 in occasione dell'ostensione della Sindone di Torino. Questi contatti hanno lo scopo di rafforzare i poteri sacri delle copie che, secondo il credo cristiano, si trasmettono alle riproduzioni al momento della creazione della riproduzione. La reliquia, in perfetto stato di conservazione, è stata protetta in una teca su iniziativa della locale Amministrazione comunale per preservarla da atti vandalici o da possibili furti e si torva permanentemente esposta all'interno della chiesa.
La Porta di Sant'Agata
Il piccolo borgo di Arquata del Tronto era circondato da mura di cinta che avevano delle porte di accesso al paese. La Porta di Sant'Agata è l'unica giunta fino ai nostri giorni. Si eleva isolata rispetto al contesto urbano, in mezzo ad una rigogliosa vegetazione, ed è raggiungibile tramite una scalinata. Ben conservata si compone di due soli corpi di fabbrica di semplice architettura, con altezze diverse, realizzati in conci irregolari di pietra arenaria locale. Gli unici conci regolari presenti sono quelli che compongono l'arco a tutto sesto della costruzione più bassa. Sotto di essa passava la strada che raggiungeva il paese di Spelonga passando per Colle Piccione. Nelle sue immediate vicinanze, nascoste tra la vegetazione si osservano i resti delle mura che circondavano Arquata. Posizionati sulla facciata esterna della porta, rispetto al borgo, si evidenziano due stemmi del XVI secolo. Quello alloggiato sopra l'arco, verso il lato sinistro, si presenta a forma di scudo e nel suo campo si vede raffigurata un'aquila fissante un sole movente dal cantone sinistro dello scudo stesso. Questo simbolo appartenne alla famiglia norcina dei Quarantotto. L'altro stemma, sempre inciso su pietra, propone un cassero merlato alla ghibellina, con torre centrale ed un sinistrocherio che esce dalla base della torre ed impugna una spada alta in palo. Questo probabilmente appartenne alla famiglia norcina dei Passerini.
La Rocca medievale del XIII secolo
La Rocca è una fortificazione duecentesca, dominatrice della vallata e sovrasta con le sue torri la Strada Consolare Salaria, spina dorsale del territorio e del collegamento con Roma, ed il fiume Tronto, che separa la Catena dei Sibillini dai Monti della Laga). La costruzione ha proporzioni eleganti ed equilibrate, le sue torri sono state elevate in diversi periodi storici per incrementare la difendibilità del luogo. Questo castello è un tipico esempio di architettura duecentesca dell'Appennino umbro marchigiano. Una vera e propria città fortezza dall'aspetto compatto, isolata ed austera. Le strutture edilizie che contribuiscono a formare l'intero corpo di fabbrica della Rocca, costruita utilizzando blocchi di pietra arenacea, hanno realizzato, in periodi diversi, il suo sviluppo funzionale. Quello che vediamo è il risultato di vari interventi protrattisi fino al XV secolo compreso. L'elevazione del castello fu iniziata intorno XI-XII secolo e come primo elemento fu innalzato il torrione, alto circa 12 metri, di pianta esagonale, coronato da caditoie, aperture sul pavimento di strutture aggregate all'edificio, da cui si gettavano proiettili al nemico, e merli a coda di rondine. La cinta muraria, parzialmente arrivata ai nostri giorni, si sviluppava verso nord per circa 70 m, eretta con lo scopo di chiudere il lato scoperto del colle. Un percorso collegava il torrione al paese dal lato orientale. Successivamente, tra il XIV ed il XV secolo, si costruì la torre esposta a nord, questa è a base quadrata, il suo lato è di 7 metri e raggiunge i 24 metri di altezza. Questo è sicuramente l'elemento più imponente della fortificazione che con una doppia cinta muraria si raccorda tuttora al torrione esagonale. C'è un cammino di ronda, sostenuto da archetti, che delimita una piazza interna di metri 21x24. All'interno del piazzale sorgevano le abitazioni che gli arquatani utilizzavano per mesi chiusi all'interno della fortezza. L'ultimo elemento della Rocca ad essere costruito fu il torrione, a base circolare dal diametro di 10 metri, altezza 12 metri, sul lato sud-ovest. Oggi, di questo, si vedono solo le mura di fondazione. La sua altezza raggiungeva il livello della merlatura e serviva ad alloggiare l'artiglieria. Le sue porte di accesso erano dislocate intorno alle strutture principali del paese, quali il palazzo nobiliare, la piazza e la chiesa. La Rocca fu restaurata negli anni venti del Novecento, nel 1966 ha subito nuovi interventi conservativi.

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